Fare parte di una comunità significa, tra le altre cose, accettarne le regole, peraltro, laddove si fosse tra i “padri ispiratori”, frutto di una fondamentale condivisione iniziale.
Nulla è, ovviamente, immutabile: gli accadimenti, quasi sempre tragici degli ultimi anni (dal Covid all’attuale crisi Medio Orientale – a proposito della quale proprio oggi decorre un mese dall’attacco di Hamas – passando dal riapparire, a livello planetario, dell’inflazione alla guerra in Ucraina), hanno costretto il mondo, in alcuni casi, a “reinventarsi”, pena la fine di equilibri economici e, cosa ancor più grave, geo-politici. La “critica”, quindi, va sempre vista come un elemento positivo se rivolta a migliorare i meccanismi che sonoalla base di qualsiasi organizzazione.
Quando si parla di Europa, il nostro Paese è sempre pervaso da un certo scetticismo: come molti ricorderanno, la strada, nel momento in cui, dal 1 gennaio 2002, l’€ è diventato la valuta di riferimento dell’area, è stata da subito in salita, con molti che contestarono il tasso di conversione per la lira, fissato a 1.936,27, accusando l’allora Primo Ministro Prodi di “sudditanza” nei confronti della Germania. Sono passati 21 anni da quel momento, ma le polemiche, neanche troppo ciclicamente, continuano ad accompagnare la nostra quotidianità.
Ad essere nel “mirino” sono soprattutto alcuni elementi di politica economico-finanziaria, definiti a suo tempo, ma, in particolare in un caso, mai da noi “digeriti”. Quando si parla di Mes, di patto di stabilità o, anche, di PNRR, il contraddittorio con la Commissione Europea improvvisamente si inasprisce, diventando quasi un braccio di ferro. Eppure le condizioni in cui ci troviamo dovrebbero indurre ad un atteggiamento meno “sfidante”: fare valere le proprie ragione è un preciso dovere di qualsiasi Governo, senza però arrivare all’isolamento politico.
Dopo la Grecia, siamo il Paese membro UE con il debito pubblico più alto: il Paese ellenico “primeggia” dall’alto del suo 166,5% (dati fine 1° semestre 2023), ma noi lo seguiamo con un rapporto debito/PIL del 142,4%. La media dell’Area euro è 90,3%, mentre quella UE si ferma all’83,1%. Già questo può far comprendere che ci sediamo al “tavolo negoziale” senz’altro non da un punto di forza. Ciò nonostante, siamo l’unico Paese che non ha ancora sottoscritto il MES, il “meccanismo di stabilità” inserito negli accordi di Maastricht per evitare che il default di un Paese trascini nel “baratro” l’intera comunità. Il prossimo 20-21 novembre è calendarizzata, in Parlamento, la sua ratifica, “ultima chiamata” per l’Italia. E’, peraltro, difficile che si arrivi, per quella data, ad un accordo: più probabile, quindi, che si trovi, ancora una volta, ad una mediazione con l’Europa per “guadagnare tempo” e non mettere a rischio la vita stessa del Governo.
Altra questione aperta il Patto di stabilità, la regola sospesa al tempo del Covid e che definisce che il rapporto deficit/PIL non può superare il 3% annuo. Dal 1 gennaio 2024 tornerà in vigore, obbligando, almeno teoricamente, tutti gli Stati membri a rientrare nei parametri. Nella Finanziaria che il Governo ha inviato alla Commissione per l’approvazione, il limite è abbondantemente superato (siamo intorno al 4,7%): il tema, peraltro, non riguarda tanto il prossimo anno, quanto quelli successivi, nei quali continueremo a “sforare”, provocando una certa irritazione soprattutto tra quei Paesi che, invece, quei parametri li rispetteranno.
Rimane il PNRR, “snodo” di assoluto rilievo per le finanze pubbliche. Da mesi si discute sulle difficoltà che incontriamo per portare a termine i punti a suo tempo fissati per ottenere i finanziamenti che ci sono stati messi a disposizione, difficoltà che hanno non pochi ritardi nell’incasso delle varie rate a suo tempo concordate, al punto che sono ancora in corso le discussioni con la Commissione per la quarta rata da € 16.5 MD. Ma il tema è ancora più ampio, riguardando anche il capitolo del RepowerEU, il piano relativo al mercato tutelato dell’energia.
Come possiamo immaginare, si tratta di temi piuttosto importanti, per i quali continuare a “forzare la mano”, alla lunga, può diventare piuttosto problematico.
Ieri sesta seduta consecutiva di rialzo per Wall Street, anche se con percentuali più contenute rispetto ai giorni precedenti (Nasdaq + 0,37%, Dow Jones + 0,10%, S&P 500 + 0,2%).
Giornata di realizzi, invece, per i mercati del Far East.
A Tokyo il Nikkei lascia sul terreno l’1,34%. Appena sotto la parità Shanghai (- 0,037%), mentre a Hong Kong l’indice Hang Seng arretra dell’1,41%.
Tutti in discesa i futures, con cali intorno allo 0,20/0,25%.
Deboli le materie prime, con il petrolio in discesa: questa mattina troviamo il WTI sotto gli 80$, a $ 79,90, – 1,25%.
Gas naturale Usa $ 3,265, – 0,15%.
Si allontana dai $ 2.000 l’oro, che troviamo a $ 1.975,50 (-0,74%).
Spread in rialzo, a 183 bp.
BTP a 4,64%.
Bund 2,65%.
Treasury 4,73%.
Leggero rafforzamento per il $ verso €, con €/$ a 1,0697.
Bitcoin sempre vicinissimo alla soglia dei $ 35.000 (34.897).
Ps: a Dashain, vicino a Kathmandu, in Nepal, è in corso di svolgimento un festival molto particolare: quello delle altalene. Un gioco, per i nostri bambini, come tanti. Non così per quella popolazione. Secondo la tradizione nepalese, andare in altalena significa lasciare la terra con i piedi e avrebbe il beneficio di allontanare il malessere e le vibrazioni negative. Difficile avere o meno la conferma: rimane il fatto che tutti credo abbiamo provato il piacere di “rimanere” un po’ sospesi per aria…